Ad ogni partita dell’Italia diventa sempre più evidente la centralità e l’essenzialità di Daniele De Rossi per gli azzurri, un’importanza che stona clamorosamente con il suo rendimento nella Roma, deficitario non da settimane ma ormai da almeno un paio di stagioni.
Le ragioni possono essere molteplici e oscure ma Daniele De Rossi non è il giocatore finito di cui si parla ogni volta che non dà il suo contributo alla causa romanista. Sicuramente su di lui influiscono le pressioni da cui viene circondato ogni volta che indossa la maglia giallorossa, superiori alle pressioni in nazionale, dove è considerato sì un giocatore importantissimo ma certo non un deus ex machina.
C’è però anche un fattore tattico da non sottovalutare. Falliti, o comunque non pienamente superati, gli esperimenti in difesa (dove comunque sosteniamo possa un giorno giocare DDR), De Rossi è tornato a giocare in pianta stabile nella mediana, nella Roma come in nazionale. Ma il suo compito è molto differente tra club e azzurri, a seconda della linea difensiva alle sue spalle. Nella difesa a quattro di Garcia e Spalletti viene gravato di troppe responsabilità, sia nell’impostazione sia nella copertura degli spazi alle sue spalle, specie in una difesa non impermeabile come quella romanista. Nella difesa a tre ha molto meno spazio da coprire, può lasciare l’impostazione ad altri (Bonucci? Verratti?) e ha la sicurezza di una retroguardia solidissima dietro di lui; addirittura con Conte, e già spesso con Ventura, il centrocampo veniva scavalcato quasi sistematicamente dalle palle lunghe della difesa e il compito di De Rossi diviene semplicemente quello di frangiflutti per equilibrare la squadra nei momenti in cui essa si distende o si allunga, senza consegne particolari.
Insomma, tra pressioni e questioni tattiche, casa sua non sembra più così accogliente per Daniele De Rossi, in evidente difficoltà con la maglia della Roma. Però lui ancora c’è, sta bene e ha voglia di prendere in mano la squadra. Eccome.