Gian Piero Gasperini, allenatore dell’Atalanta, ha rilasciato una lunga intervista a Storie di Serie, programma di Radio TV Serie A con RDS che va in onda il mercoledì. Il tecnico ha parlato della sua storia con la Dea, del momento più alto della sua carriera, dei punti necessari per lo scudetto, del collega Walter Mazzarri sulla panchina del Napoli (prossimo avversario in campionato) e di tanti altri argomenti.
Le dichiarazioni di Gasperini
Sul rapporto con l’Atalanta: “La mia storia con l’Atalanta è meravigliosa, spero duri ancora a lungo, abbiamo raggiunto una dimensione importante. Questo è l’ottavo anno sulla panchina dell’Atalanta, in Italia sono l’allenatore più longevo su una panchina. Sono stato agevolato dall’aver trovato un ambiente in cui ci siamo consolidati a vicenda. C’è sempre stato un rispetto totale tra me e la proprietà. Sono cambiati gli obiettivi nel corso degli anni, le difficoltà sono aumentate. Ogni giorno e ogni settimana si affronta una realtà nuova, c’è un avversario diverso, si pensa alla partita da giocare e si riguarda quella precedente. Le settimane passano così e non ce ne si accorge. È tutto molto accelerato, ci sono tante partite e il tempo sembra passare in fretta. La sfida più importante da affrontare ogni giorno? È quella di trasmettere qualcosa alla squadra, cercare sempre un allenamento o una situazione che possa dare qualcosa in più alla squadra. Difficile sopportarmi? Il calcio è una materia di confronto, non sempre si è d’accordo ma si possono creare delle basi per crescere e migliorare. Abbiamo diversi confronti, ma qui ho trovato una proprietà fantastica che mi ha sempre lasciato lavorare nel modo migliore. Periodicamente si possono avere visioni differenti, io sono un tecnico della società e faccio valere le mie idee, sempre nel rispetto della proprietà che è quella che, in assoluto, deve decidere. Quanto ho fatto guadagnare all’Atalanta? Non ho mai fatto il conto, ci sono stati tanti giocatori ceduti a grandi cifre. Ho sempre pensato a quello che la società sceglieva, in modo da valorizzare al meglio i giocatori e la squadra. 500 punti nella mia gestione? Sono tanti, soprattutto per una società che per tantissimi anni non aveva superato i 50 punti in campionato. È sicuramente un grande risultato”.
Su Ilicic: “A un certo punto (del periodo covid, ndr) lui ha cominciato ad avere dei sintomi, non stava bene. Lì si è completamente isolato e non sopportava il fatto di non poter tornare a casa, soffriva della lontananza dalla famiglia. Da quel momento ha avuto delle difficoltà, noi gli siamo sempre stati vicino. Ricordo la partita di Valencia, dove fece quattro gol: era tra i migliori giocatori in Europa, avrebbe potuto vincere il Pallone d’Oro. Quando dovevamo andare a Lisbona contro il PSG, la settimana prima ero andato a trovarlo in una clinica: aveva perso 10-12 kg…(si interrompe e si commuove ricordando l’episodio, ndr)“.
Su PSG-Atalanta: “È stato il momento più alto della mia carriera a livello di risultato, ci sono stati momenti validi come espressione di gioco. Eravamo a 2 minuti da una semifinale di Champions League. Per come era andata la partita sarebbe stata meritata. Nel secondo tempo è entrato Mbappe: lì è cambiata la partita. Eravamo stati fortunati in un paio di occasioni, ma sembravamo in controllo del match. Nei minuti finali, invece, abbiamo perso Freuler e abbiamo cambiato qualcosa a centrocampo. Con lui in campo sono sicuro che sarebbe stato seguito l’inserimento che ha portato al gol del PSG. Avevamo perso Gomez, mancava Ilicic, però siamo stati vicinissimi a quella semifinale. Da una parte è un rammarico, dall’altra è giusto accettare il risultato di una grande squadra. Tifavano tutti per noi? Eravamo la “piccola squadra” che di colpo si era ritrovata al tavolo con i grandi. Il campo ti dà sempre la possibilità di dimostrare il tuo valore, anche perché per una società come la nostra salire di livello è difficile”.
Sul sogno scudetto: “Io faccio sempre valutazioni tecniche. L’Atalanta viaggiava sui 40-50 punti di media, di colpo ha avuto un’evoluzione e i punti sono diventati più di 70. Per arrivare a vincere lo scudetto ne servono più di 80 probabilmente: non ci siamo ancora riusciti. Per noi, il traguardo possibile era la vittoria della Coppa Italia: l’abbiamo sfiorata due volte. Tutte le altre competizioni sono difficili da vincere perché c’è una grande disparità tra le squadre: le big hanno risorse enormi in tutti i campionati. Le disparità economiche sono notevoli, i profitti maggiori arrivano dai diritti televisivi che però non sono divisi in maniera equa: è difficile competere”.
Su Maehle che lo definì un dittatore”: “Il mondo della comunicazione è in difficoltà, rispecchia sempre meno le persone. Per fare titoli si è disposti a passare sopra qualsiasi cosa, raccontando le cose in modo sbagliato. Io non sono il miglior esempio di comunicazione, ma è un mondo complicato, anche perché tutti al giorno d’oggi possono comunicare. È tutto rumore, c’è poca sostanza. Un po’ di onestà intellettuale in più sarebbe importante”.
Sulla squalifica per doping di Papu Gomez: “Mi dispiace umanamente. In questi casi bisogna essere molto severi, ma nel calcio i casi di doping sono dovuti a incuria, raramente con la volontà di alterare le prestazioni. Quello che è successo a lui è brutto, mi dispiace perché era appena tornato in Italia e poteva fare qualcosa di buono. Lui è andato via senza salutare, spero che ci sia la possibilità, prima o poi, che possa tornare a Bergamo per avere un saluto come è giusto che sia”.
Su Mazzarri: “Sono legato ai derby di Genova contro di lui. Erano belle sfide, la Sampdoria viaggiava in Europa mentre il Genoa arrivava dalla B, ma è riuscito in due anni a ottenere grandi risultati. Era un derby con tanti giocatori forti, penso a Pazzini, Cassano, Milito, Thiago Motta… erano grandi partite. Io ho sempre bazzicato tra Atalanta e Genoa, lui è passato da Napoli, Inter e Torino: sono sempre state grandi sfide. Atalanta-Napoli sarà una partita importante per entrambe le squadre, loro per il cambiamento che hanno avuto, noi perché iniziamo una serie di partite importanti”.
Su cosa chiede Gasperini a un nuovo giocatore che arriva all’Atalanta: “Quello che io chiedo è di integrarsi immediatamente nel territorio e nella mentalità di questa società. Si chiede essenzialmente grande professionalità e appartenenza, poi c’è l’aspetto tecnico. Gli atteggiamenti sono fondamentali: in questo io e la proprietà abbiamo la stessa visione. Io sono il tramite della società, dobbiamo avere sempre atteggiamenti adeguati a quello che rappresenta l’Atalanta”.
Sui giocatori migliorati da quando allena l’Atalanta: “Penso a quando sono arrivato: c’era una squadra composta da tanti giovani che non trovavano spazio. Di questi sono stati venduti poi Caldara alla Juventus, Gagliardini e Bastoni all’Inter, Kessie e Conti al Milan. Questo già al primo anno, poi c’è stata un’evoluzione di alcuni giocatori che sono rimasti qua per tanti anni: basti pensare a Toloi e De Roon e ci si può rendere conto di quanto siano migliorati a livello di rendimento”.
Su Bergamo: “È una città a misura d’uomo: non è molto grande, si vive di cose semplici. Senti il calore della gente anche se non è esasperatamente manifestato perché c’è grande discrezione. L’amore si sente, la felicità di grandi risultati traspare sempre. Se ti cali in questa dimensione vivi molto bene, ti senti protetto”.
Sul Covid: “Bergamo è stato il primo grande focolaio. C’è stata una reazione fantastica da parte di tutta la gente nonostante le difficoltà. All’inizio non si capiva: quando siamo andati a Valencia siamo stati trattati come portatori di un’infezione locale, soltanto dopo si è capita la portata del virus. Tante famiglie hanno perso dei cari prematuramente, è un dolore che non si cancellerà mai, però la reazione della gente a distanza di qualche anno mi sembra positiva: c’è una voglia di fare sempre di più. Se ho avuto paura? Sì, anche se all’inizio non ci si rendeva conto del pericolo: era un nemico subdolo. Qui si sentivano sirene ogni tre minuti, gli ospedali erano stra colmi. Era una novità, non si sapeva cosa fare. La paura c’era così come un po’ di incoscienza, sembra fantascienza a pensarci ora. Si arrivava al campo già cambiati e ognuno doveva usare un solo pallone, eravamo tutti con le mascherine. Si facevano allenamenti individuali, con i fisioterapisti che pulivano ogni pallone. Le prime mascherine che ci sono arrivate le hanno calate da un elicottero in mezzo al campo. È stato un periodo durato qualche mese, però è stato veramente devastante. Non sapevamo se il calcio sarebbe proseguito o meno: c’erano tanti disfattisti, ma devo dire che la Federazione è stata molto brava nella gestione. Il calcio ha aiutato anche le persone a ritrovare il sorriso, tutto è ricominciato nel miglior modo possibile: è bello vedere ora gli stadi pieni”.
Sulla generazione dei nuovi allenatori, allenati in passato da Gasperini: “Sono tutti bravi, stanno facendo strada e stanno andando tutti bene. Mi è dispiaciuto per Bocchetti che l’anno scorso ha salvato il Verona e poi ha avuto problemi burocratici per il tesseramento. Questi ragazzi, oltretutto, giocavano tutti insieme: Thiago Motta, Palladino, Juric, Gilardino… vengono tutti dal Genoa. Quello è stato un bel momento, molto diverso da adesso: ora tante dinamiche sono acquisite, ma ai tempi del Genoa quando proponevamo il 3-4-3 avevamo un modo di giocare ancora incompreso. Adesso vedo usare questo stile anche in Europa, basti pensare alla finale tra Manchester City e Inter dove entrambe hanno difeso a 3. Ho visto il Chelsea giocare così e vincere, il Real Madrid presentarsi contro di noi difendendo a 3. Oggi in Italia abbiamo Frosinone, Lecce e altre squadre che giocano a viso aperto senza giocare soltanto per difendersi, anche contro le big”.
Su Scamacca: “Ha voglia di recuperare il tempo che ha perso negli ultimi due anni. Ha potenzialità, speriamo di recuperare un attaccante di valore che in Italia non abbiamo da un po’ di tempo. C’è lavoro da fare, però è un ragazzo che ha volontà”.