Chapecoense: rialzarsi e ripartire

28 novembre. Una data fatale, triste, che in tre anni ha distrutto una delle realtà più belle e sorprendenti del calcio sudamericano: quella della Chapecoense. Il 28 novembre del 2016 la tragica notizia dello schianto aereo con a bordo giocatori e staff della Chape. Pochi giorni fa, sempre il 28 novembre, è arrivata la cocente retrocessione dei biancoverdi nella seconda serie brasiliana. Dunque, dopo tre anni, di nuovo angoscia. Di nuovo lacrime. Ma se c’è una cosa che giocatori e supporters della Chapecoense possono insegnarci è proprio quella forza, disumana a tratti, di ripartire, di rialzarsi dopo aver subito un colpo mortale. Bisogna ripartire, fin da subito.

La tragedia

giocatori-Chapecoense

Agli occhi di tutti è balzato il dramma avvenuto il 28 novembre 2016. I giocatori e lo staff della Chapecoense erano diretti a Medellin, dove avrebbero dovuto disputato la finale di Copa Sudamericana contro l’Atletico Nacional. La trepidante attesa, l’ambizione di poter vincere una coppa tanto sognata quanto prestigiosa. Dal sogno alla tragedia. Dalla voglia di vincere alla lotta per la sopravvivenza. Lo schianto dell’aereo, la morte di compagni, o meglio, di fratelli con i quali si condivideva tutto.

Solo 3 giocatori sopravvissuti da quella maledetta notte: il terzino Allan Ruschel, il portiere Jackson Follmann e l’esperto difensore Helio Neto. Proprio il difensore brasiliano fu protagonista di un episodio drammatico: non appena svegliatosi dal coma, Neto chiese, per prima cosa, al dottore come fosse andata la partita contro i rivali dell’Atletico National, e poi, perché si trovasse in un letto d’ospedale ricolmo di ferite. Aveva totalmente rimosso tutto: come se fosse stato un qualunque incubo che si fa nella notte. Purtroppo no, era la crudele verità. Adesso Neto sta lavorando per ritornare in campo, consapevole di tutto ciò che è successo, e se ci riuscirà lo farà soprattutto per la memoria dei suoi compagni di quella sciagurata notte.

La forza di reagire

Chapecoense-Amaral

“Mi sono svegliato nel bosco, ho aperto gli occhi ma era tutto buio. Faceva freddo e sentivo le persone chiedere aiuto. Ho iniziato a chiedere aiuto anch’io, non avevo idea di dove fossi. In quel momento non ricordavo nulla. Mi misi solo a supplicare, non volevo morire”. Sono le angosciose parole di Jackson Follmann dopo pochi giorni dallo schianto. Da queste frasi bisognava ripartire. Bisognava rialzarsi, soprattutto per rendere memoria a chi con quella maglia era arrivato a giocarsi una finale di coppa nazionale. La Chapecoense aveva l’obbligo di rialzarsi. E così ha fatto. Tra le inimmaginabili e innumerevoli difficoltà è stata ricostruita la squadra che ha disputato il campionato di Serie A brasiliana. Prendere in considerazione i risultati in queste situazioni sarebbe quasi senza senso.

Chapecoense-tifosi

Purtroppo, però, il campo, che non guarda in faccia nessuno, è l’unico giudice nelle competizioni sportive. In un ambiente dilaniato, che stava comunque pian piano cercando di rialzarsi, ecco un altro fulmine. Questa volta inequivocabilmente più prevedibile e meno tragico rispetto a quello precedente, ma ugualmente triste: la retrocessione nella Serie B brasiliana. Sempre in quella maledetta data del 28 novembre, che i tifosi della Chapecoense vorrebbero legittimamente eliminare dal calendario. Di nuovo baratro. Di nuovo inferno.

“Ci rialzeremo!”

Chapecoense-giocatori

Il coraggio e la forza di volontà a tutta la città di Chapeco non mancano certamente. Ne hanno già dato prova. Rialzarsi sarà la parola d’ordine. Magari con le lacrime, colpiti, feriti, ma guai a considerarli abbattuti. Un vecchio detto deve riecheggiare nelle menti dei tifosi della Chapecoese: “Dio attribuisce le battaglie più dure ai soldati migliori”. Tutti noi dovremo stare vicino e parlare, quando sarà il momento, della rinascita della Chapecoense.