“Milano non è Milan, Italia è Milan” è una frase che in queste ore sta spopolando sui social insita nella testa di tutto il popolo rossonero. A proferirla nella notte del ritorno è stato il capopopolo, quel pilota arrivato due stagioni fa quando il mare era in tempesta e non si vedeva l’orizzonte e che nel pomeriggio caldo di Reggio Emilia ha mantenuto la promessa: riportare il Milan nell’Olimpo dei vincenti. L’identikit del pilota è chiaro: fisico belluino, capelli lunghi, nazionalità svedese. Segni particolari: essere vincente. Il suo nome è Zlatan, il cognome Ibrahimovic. Condottiero di un progetto visionario che ha tanti uomini simbolo, in campo e fuori dal rettangolo verde.
Per l’emiliano Pioli, nato a Parma, la vicina Reggio Emilia rimarrà tappa incancellabile della sua vita. La famosa Via Emilia venne costruita dal console romano Lepido per collegare Rimini a Piacenza: dopo molti e molti secoli una strada molto simile è stata fabbricata figurativamente nella mappa del tempo del Milan. Fu proprio la trasferta di Sassuolo a confermare difatti Stefano Pioli in rossonero nel luglio del 2020 ovviamente grazie a quel ragazzino svedese di 41 anni autore di una doppietta. Il progetto targato Rangnick venne abbandonato, si avvertiva la volontà forte di Maldini di proseguire con Pioli, costruendo magari una squadra che potesse giocarsi il piazzamento in Champions. L’aria però era cambiata già in quell’estate fatta di un campionato senza tifosi, con tamponi positivi che fioccavano e con un quinto posto che era solo la base per fondare successi.
“Questa squadra non sente ora la pressione del pubblico. Quando ritorneranno i tifosi a San Siro sarà un’altra storia“. Frase sentita e risentita, che è servita solo a caricare i ragazzi di Stefano Pioli. I tifosi sono tornati finalmente allo stadio. L’effetto è stato diametralmente l’opposto di quanto si potesse malamente immaginare: quei ragazzi “particolari” sono diventati uomini forti, pronti al grande salto nell’Olimpo. Questo grazie a quel leader silenzioso e mai in prima pagina, Pioli, che ha saputo forgiare la personalità dei suoi giocatori e che ha infuso coraggio a tutti. Perché il Milan di oggi ha dimostrato che si può vincere anche e soprattutto avendo idee e progettando perfettamente il futuro, cercando di essere visionari anche quando le risorse sono poche e sembrano non bastare. Basta racchiudersi tutti in uno stesso mantra, basta credere in una “fede”. Il risultato arriverà. Chiedete a Maldini.
“Il futuro dipende da ciò che fai oggi” diceva Gandhi. Non sappiamo se Maldini e Massara (altro uomo silenzioso, ma di copertina) abbiano in questo tempo pensato a questo aforisma. Sicuramente però hanno preso alla lettera ogni singola parola di questa frase. Il Milan era e forse è ancora dietro a livello di nomi a qualche squadra italiana: l’Inter, la Juventus e il Napoli avevano probabilmente sulla carta qualche valore tecnico in più. Non basta se punti a vincere. Maldini e Massara hanno avuto l’arguzia di capire che quest’anno come non mai lo scudetto potesse essere, per il Diavolo, dettato da un grande fattore psicologico: non avere il cosidetto “braccino del tennista“.
Giornata dopo giornata, vittoria dopo vittoria (28 punti nelle ultime 10 partite) la sensazione del possibile cresceva. Questo non perché la squadra di Pioli fosse diventata all’improvviso forte. Lo era già sul campo, bastava che entrasse qualcosa di speciale nella testa dei giocatori. Infatti, che Maignan fosse un portiere affidabile lo si sapeva, che Theo Hernandez e Rafael Leao fossero potenzialmente uno dei terzini e uno degli esterni più importanti del panorama europeo era garantito. Tutto ruotava però nell’uso di quell’avverbio “potenzialmente”. Per vincere c’era il bisogno che si trasformasse in “realmente“. Il 22 maggio il cerchio si è chiuso. Dal potenziale si è passati al reale, dal futuro assicurato si è passati a parlare di presente vincente. Non era facile e non era scontato: molto passava dalla testa. Maldini e Massara anche come psicologi forse avrebbero un futuro assicurato. Come amanti delle storie romantiche del calcio, preferiamo però che rimangano il più a lungo possibile all’interno del gioco più bello del mondo.
La voglia di cambiamento e la necessità di affidare tutti ai giovani sono principi in bocca a tanti, ma nel cuore di pochi. I giovani bisogna scegliergli con estrema cura. Il Milan pre Elliot versava in una confusione assurda: basta pensare a quanti allenatori e giocatori sono transitati a Milanello negli anni fra il 2012 e il 2018. Tantissimi, ma i risultati erano pochi. Maldini, che guardava da fuori, probabilmente in quegli anni aveva il magone dei vecchi fasti vedendo il Diavolo cadere e ricadere. La Champions League senza il Milan era diventata ormai naturalità.
Una volta preso il timone della nave il comandante Paolo ha capito che tutto dovesse passare dalla forza dei giovani. E allora da qui partono le avventure di questa squadra che oggi viene celebrata: dal viaggio personale ad Ibiza per Theo Hernandez ai margini del Real Madrid, alla chiamata, per convincere Leao ad arrivare in rossonero sono solo due dei momenti iconici del progetto. La perseveranza può essere base delle più belle storie: quella di Sandro Tonali sicuramente ne è esempio lampante. Dopo una prima stagione in rossonero con molte ombre e poche luci, Maldini ha bussato da Cellino nella scorsa estate chiedendo uno sconto per il riscatto del centrocampista che spingeva per coronare il sogno della sua vita. Il numero 8 quei 20 milioni in questa stagione li ha ripagati tutti: autore forse del gol scudetto, sicuramente di quello più pesante, a Roma contro la Lazio. Per Sandro, milanista doc, lo scudetto è il marchio di una carriera che sta sbocciando, sulle orme di quei grandi centrocampisti che il Milan non aveva da tempo.
A dicembre la rottura del crociato di Kjaer aveva fatto pensare alla fine di un sogno, con una rosa che per moltissimi in quel reparto comunque aveva bisogno di qualche rinforzo. Non per Maldini. “E’ stato un mercato da 4 per il Milan“. “Aveva bisogno di un difensore per competere“. Frasi sentite e risentite, con le quali il dt rossonero probabilmente si sarà fatto una risata. L’alternativa al difensore danese Pioli ce l’aveva già in rosa, non aveva bisogno di cercarla altrove. Pierre Kalulu nella corsa scudetto del Milan merita una pagina in copertina. Da Osimhen a Lautaro, da Immobile a Scamacca. Il difensore classe 2000 non è andato mai in crisi, dimostrando una grandissima personalità e rubando quasi le prime pagine al compagno di reparto reputatosi una certezza assoluta. Tomori, infatti, è stato un altro capolavoro di Paolo Maldini che lo ha strappato al Chelsea in estate. Prototipo del difensore moderno, veloce ed abile a leggere in anticipo l’azione, l’inglese è diventato presto guida della difesa rossonera. E’ stato la spalla di Kalulu, il fratello di due anni maggiore del francese che comunque poche volte si è trovato in difficoltà. Quelle poche sbavature sono state nascoste da un altro simbolo di questa squadra, ossia Mike Maignan. Ereditare ciò che l’addio di Donnarrumma comportava non era semplice, ma anche qui il profilo da Maldini e Massara è stato scelto con estrema accuratezza. C’era bisogno di un portiere con eccelse doti di personalità, bravo con i piedi e magari con un curriculum vincente. Tutte caratteristiche che Maignan ha portato nel bagaglio da Lille a Milano. Gli interventi su Immobile all’Olimpico in uscita con i piedi e la paratona su Cabral a San Siro sono gli ultimi iconici episodi della saga “Episodi decisivi” che pesano tantissimo sulla vittoria del tricolore rossonero.
Se la difesa regge, per vincere, ci deve essere qualcuno che la palla la butti dentro la rete della porta avversaria. La stagione scorsa con l’assenza di Ibrahimovic i gol iniziarono a mancare e la corsa scudetto si fermò in inverno. C’era bisogno di un uomo coraggioso che decidesse di indossare quella “maledetta” numero 9 che dai tempi di Inzaghi sembrava non funzionare più. Pato, Matri, Torres, Destro, Luiz Adriano, Lapadula, Andrè Silva, Higuain, Piatek e Mandzukic si sono scontrati tutti con la pesantezza della maglia finendo per essere meteore. Quest’anno l’uomo coraggioso è stato Olivier Giroud, arrivato a zero dopo la parantesi Chelsea. Colpo passato in sordina, come l’arrivo di un attaccante qualunque: il francese, molto spesso al centro delle critiche in tutta la sua carriera, ha dimostrato con i fatti (come un vero campione) la sua importanza. Quei dieci minuti magici del derby portano la sua faccia, la vittoria contro il Napoli al Maradona è stata firmata dal francese che ha saputo quando pungere. Contro il Sassuolo, l’uomo dei gol pesanti non poteva che non entrare nel tabellino dei marcatori. Alla faccia di chi lo dava per finito.
Il trionfo del Milan è una storia bella, costruita con cognizione di causa e senso di appartenenza. La sensazione è che tutto possa essere all’inizio e che il Diavolo sia finalmente tornato nell’Olimpo dei vincenti. Il passo più importante era quello di riportare al successo la squadra, immergendola a rivivere determinate emozioni. Il Diavolo non si è mai snaturato: ha pensato sempre ad un solo modo per tornare, quello di affidarsi ai giovani che fossero ben guidati. Avrebbe potuto sbagliare, ma lo avrebbe fatto sempre e solo con le proprie idee. Il successo sta proprio in questo: non perdere mai la fiducia e perseverare sulla propria strada. E poi capire cosa significhi indossare il rossonero a San Siro: tutti lo hanno compreso benissimo. Facile, se al timone della nave c’è il comandante Paolo Maldini.
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