Caro Daniele,
Non eravamo pronti, e forse non lo saremmo stati mai, ma purtroppo è arrivato il momento. Il momento in cui ognuno di noi tifosi perde qualcosa, come quando un fratello maggiore va via di casa e lascia un vuoto dentro. Perché è così che ti ho sempre visto Daniè: come un fratello maggiore, che quando sei piccolo ti difende da qualche bambino prepotente.
E tu così hai difeso noi e la nostra Roma, sempre in prima linea, sempre pronto a proteggerci con quella tua vena al collo pronta ad esplodere, tirando fuori quello che tutti noi proviamo ogni domenica per questi colori: gioia, dolore, rabbia. Perché per spiegare Daniele De Rossi a chi non lo conosce, direi che è come se io, mio padre o l’amico con cui vado allo stadio scendessimo in campo. Questo sei, uno di noi, lì nella mischia, a dimostrare che a volte l’amore conta.
Noi in campo avremmo fatto tutto quello che hai fatto tu, nel bene e nel male. Perché amiamo visceralmente quella maglia, che ci appartiene, che ci rappresenta. La stessa maglia che ad ogni gol prendi, baci e stiri forte, quasi a strapparla, come per dire: “Voi non sapete cosa significa. La Roma è un orgoglio”.
Ci mancherà terribilmente questa sfrontatezza nel manifestare il tuo amore, la sfrontatezza di chi è trasparente, di chi porta un “vessillo non per la parata, ma in prima linea nella trincea”. Porterò sempre con me le emozioni forti (e per molti incomprensibili) che ho provato ieri sera, nel vederti per l’ultima volta in quella che per 18 anni è stata casa tua. Insieme abbiamo passato una serata malinconica, per cui non eravamo pronti, come non lo eravamo per quel diluvio.
Ma forse era destino che le nostre lacrime si mischiassero con la pioggia e diventassero una cosa sola, come lo sono De Rossi e i tifosi. Perché, come recitava maestosa la coreografia della Curva Sud, “Siamo tutti DDR”.
Infine, fratelli romanisti, ci diranno che è solo un gioco, che è solo un calciatore che guadagna i milioni, ma voi non sforzatevi, non provate neanche a spiegarlo a chi non può capire…