“Ora tornate a guardare il baseball“. Dal Vangelo secondo Zlatan, capitolo 9, versetto finale. Dopo un anno e mezzo passato a calcare gli stadi americani, è con queste esatte parole che Zlatan Ibrahimovic si è congedato dal calcio a stelle e strisce. Sicuramente non una love story tra lo svedese e la MLS ma, quanto meno, può darci lo spunto per mettere una lente di ingrandimento sul calcio negli USA.
A little bit of history
La storia del calcio negli Stati Uniti si divide in 2 grossi blocchi con 2 diverse leghe a capo: NASL e MLS. Si potrebbero quasi definire come padre e figlio. L’uno il naturale successore dell’altro. Partiamo col primo.
È il 1966, a Wembley, Londra, Sua Maestà la Regina Elisabetta ha da poco consegnato nelle mani del capitano della sua stessa nazione, Bobby Moore, la Coppa del Mondo. Anzi no, per essere precisi è ancora la Coppa Rimet. Ma indipendentemente dal nome che si dà al trofeo, questo sarà comunque l’ultima volta che i Three Lions saliranno sul tetto del mondo. L’Inghilterra, anche se ad un oceano di distanza, ha sempre creato negli americani quel senso di “non siamo più una loro colonia, ma questi ci sanno fare”. Un sentimento misto di odio, amore, rispetto, e disprezzo. Come quando provi un’antipatia profonda per qualcuno, ma poi sotto sotto sai che non è antipatia, ma solo gelosia. “Se loro ne sono stati capaci, perché noi no?” Nasce così la North American Soccer League, la NASL.

Una lega a opera di un gruppo di impresari dello sport e dello spettacolo. Sì dello spettacolo. Perché per gli americani, se non c’è spettacolo, non c’è neanche motivo. Prendi la lotta, loro mettono lo spettacolo, esce fuori il wrestling. Prendi il football (inteso all’americana), loro mettono lo spettacolo, ed ecco il SuperBowl. Facile allora pensare, prendi il calcio, anzi no, il soccer, loro mettono lo spettacolo, ed ecco…un buco nell’acqua. Un totale fallimento, assoluto. Alla stagione d’esordio le squadre partecipanti sono 17. L’anno dopo sono rimaste solo in 5. Di positivo almeno c’era che, raggiunto il fondo, si poteva solo risalire. E allora, piano piano, la lega cresce e si espande, fino a quando, nel 1975, fa la sua comparsa sulla scena un Re. O meglio, il Re. All’anagrafe è Edson Arantes do Nascimento. Per tutti, semplicemente Pelè.
Until the end
O Rei è stato per la FIFA il Calciatore del Secolo. E anche se magari gli americani non erano esperti di soccer, capiscono che per lui il livello del campionato deve essere alzato. Subito nel 1976 allora si divide il campionato in conference, arrivano le finali geografiche e i play-off diventano finalmente competitivi. La popolarità, così come gli investimenti cresce a vista d’occhio. Su quei campi da calcio ora non più amatoriali arriva gente come Chinaglia, Eusebio, Beckenbaur, Cruyff. Sembra l’inizio di un nuovo American Dream. Ma è solo l’inizio della fine.

Idee un po’ spiazzanti prendono forma all’inizio degli ’80. Campionato di calcio indoor, investimenti senza nessun ritorno economico, la poca disponibilità a far giocare i talenti made in USA fanno allontanare ancora di più il pubblico da questa disciplina. Tutte le società attraversano una profonda crisi economica, data soprattutto dalle spese per gli ingaggi dei calciatori. Il campionato 1984 è vinto dai Chicago Sting, e segna la fine della NASL. Dopo 17 stagioni il primo esperimento di portare in America il nostro football, il loro soccer, si conclude. Anche in maniera abbastanza negativa. A corredo di questo, la Nazionale di calcio americana non ottiene nessun risultato e l’interesse per questo sport si perde completamente nel buio.
Soccer 2.0
Un tunnel lungo quasi 10 anni, di assoluto oblio. Ma con una luce in fondo. Ancora i Mondiali che ci mettono lo zampino. Si perché, quelli del 1994, si giocheranno proprio negli Stati Uniti. La FIFA però pone come condizione per l’assegnazione del Mondiale che ci sia un campionato nazionale in quel territorio. Nel dicembre 1993 allora viene annunciata la nascita della MLS (Major League Soccer) e del suo campionato. Anche questo tentativo non sembra entrare molto nei cuori degli statunitensi. Le prime stagioni non lasciano un segno importante e anzi, sembra che la storia avvenuta un paio di decenni prima con la NASL possa ripetersi. È qui però che il destino si intromette. Anno 2002, Mondiali in Corea e Giappone. Noi italiani li ricordiamo per un motivo ben preciso. Gli americani anche. La loro nazionale, abbastanza sorprendentemente raggiunge i quarti di finale, facendo vedere a tutti che anche gli statunitensi possono dire la loro. Soprattutto perché in questa competizione nasce la prima stella americana di questo sport. Landon Donovan.

Una nuova stabilità economica, investimenti questa volta mirati e una crescente voglia di scoprire questo sport ci porta allora nell’anno spartiacque di tutta questa storia. Il 2007. Più di 30 anni prima era stato Pelè a stravolgere questo business. Adesso è il turno di David Beckham. Un acquisto mediaticamente importantissimo. Ne parlano tutti. In qualsiasi lato dell’oceano Atlantico si veda, c’è Beckham a fare da padrone delle pagine sportive. Viene creata appositamente anche una regola che tutt’ora ha il suo nome. The Beckham rule infatti è una deroga al salary cup, creata appositamente per lui per guadagnare i 6,5 milioni netti a stagione previsti dal suo contratto. Da qui in avanti, grazie soprattutto alla Beckham rule, la MLS si è arricchita di campioni. Interesse mediatico, crescita del brand e anche risultati positivi da parte della Nazionale, sia maggiore che femminile, ha portato la diffusione di questo sport in America. Addirittura è stato recentemente annunciato che la MLS si comporrà di ben 30 squadre. Ovviamente suddivise sempre in 2 conference, cui i migliori si sfideranno nei play-off, così come accade anche ora.
The show must go on
Negli ultimi 10 anni in MLS hanno giocato tantissimi campioni europei. Dopo Beckham sono arrivati i vari Henry, Nesta, Gerrard, Pirlo, Villa, Lampard, Drogba, Kakà, Rooney e in ultimo Zlatan Ibrahimovic. Tutti campioni che, come facile intuire, hanno deciso di passare i loro anni pre-ritiro in America. Un trand però adesso in controtendenza. Diversi giocatori infatti, nel pieno della loro attività agonistica hanno deciso di giocare qui in MLS. Josef Martinez, Carlos Vela, la stella americana Gyasi Zardes sono la vera anima di questo campionato, di questa cultura sportiva portata in America. Un luogo dove il calcio sicuramente non sarà mai lo sport preferito, e probabilmente neanche il secondo. Diversi decenni di storia hanno portato gli statunitensi ad amare altri sport ed emozionarsi con eroi diversi dai nostri. E ciò non potrà mai essere cambiato. Noi europei ameremo sempre più di tutti gli altri sport il calcio, il nostro football, il loro soccer. Noi sogneremo di giocare una finale di Champions League e loro sogneranno di giocare il SuperBowl. Noi avremo come miti Lionel Messi e Cristiano Ronaldo e loro avranno Cody Bellinger e Mike Trout. E alla fine noi torniamo sempre a guardare il calcio, mentre loro…beh loro, adesso, possono tornare a guardare il baseball.
