Maledetta nostalgia: quanto ci manca l’Atalanta

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Quanto ci manca accomodarci sul divano o andare allo stadio nel weekend per assistere ad uno spettacolo magnifico, come una partita di calcio? Il coronavirus ha fatto crollare tutte le nostre certezze, ad una a una, senza darci nemmeno il tempo giusto per prepararci: ha spazzato tutto, come un terribile vento gelido.

La Serie A, il rumore dei nemici, il fantacalcio, le chiacchierate al bar con gli amici: ovunque si parlava di calcio ed ora non più. Ora le tenebre, le ombre quasi da film horror dei nostri templi, che sono gli stadi, hanno spodestato la luce e i pixel di miliardi di telefoni che filmavano le gesta dei nostri più amati campioni. Ritorneranno questi tempi o saremo costretti a vedere uno spettacolo diverso, più triste e meno coinvolgente? A noi piace pensare che tutto tornerà e che saremo lì in prima fila ad esultare ancora.

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L’ultima sinfonia di una stagione elettrizzante

Se si parla di meraviglie dello sport più bello del mondo non si può non sottolineare l’incredibile Atalanta degli ultimi anni, targata Gian Piero Gasperini. Esaltazione della bellezza e della tecnica, dimostrazione di come un Golia possa trionfare su un Davide: senza acquisti mirabolanti, senza spese e ingaggi folli, senza nomi di prima fascia, la Dea ha fatto vedere come nel calcio l’unico vero giudice sia il campo.

Nonostante siano passati un mese e alcuni giorni dall’ultima partita che abbiamo visto in Italia, tutto il popolo nostrano ricorderà con un certo affetto l’ultima partita di un’italiana in Champions League: eravamo al Mestalla di Valencia, non c’erano tifosi e si sentivano solo le urla e gli incitamenti di allenatori e compagni. Mentre sul prato verde si muoveva graziosamente un genio con la maglia numero 72 capace di far sognare tutto un popolo. Un genio, restato incompreso per troppi anni, che con l’atteggiamento freddo, gelido, distaccato e apatico dal mondo ha guidato la Dea verso un trionfo di gioco, di ideologie e di pura magia. Facile dedurre chi sia il soggetto in questione: di nome fa Joseph e di cognome Ilicic ed insieme a Papu Gomez e compagni, la sera del 10 marzo, ha ancora incantato tutta Europa.

Quante volte l’Atalanta in questo biennio ci ha fatto rimanere a bocca aperta? Quante? Innumerevoli spettacoli, dalla cavalcata della scorsa stagione che ha portato alla qualificazione in Champions, al 7-1 in casa contro l’Udinese, al 5-0 con il Parma, al 5-0 con un disilluso Milan, al sonoro 0-7 al comunale di Torino contro i granata.

Come tutto iniziò

Eppure tutto questo è partito da una fase veramente critica, in un data e in una partita precisa: 15 ottobre 2016, Atalanta-Napoli. La Dea è reduce da un inizio di campionato alquanto disastroso che la relega nei bassi fondi della classifica e mister Gasperini, probabilmente sull’orlo della graticola, con un coraggio inaudito lancia tantissimi ragazzi: da Caldara a Petagna passando per Conti e Kessié. L’avversario però non è uno qualunque, è il Napoli di Maurizio Sarri di cui risentiremo parlare. Senza paura, mister Gasperini punta su di loro sapendo di giocarsi forse una delle ultime fiches a sua disposizione. E il risultato gli dà ragione: è 1-0 con gol di Petagna.

Pochi, o forse nessuno immaginava che quel giorno sarebbe rimasto famoso perché da lì in poi l’Atalanta condurrà una cavalcata stratosferica che le permetterà a fine stagione di arrivare quarta alle spalle solo di Juventus, Roma e Napoli e di staccare il pass per l’Europa League. Ma quella stagione non fu fine a se stessa, perché poggiò le basi per questa Atalanta solida che noi oggi abbiamo la fortuna di conoscere: dopo il settimo posto nella stagione 2017-18, ecco l’anno della consacrazione, il 2019, che a Bergamo ha portato il regalo più grande, quello della qualificazione alla Champions League.

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I condottieri dell’armata

Guida il timone coraggioso Gian Piero Gasperini, allenatore scuola Juventus sempre fedele ai suoi principi di gioco, capace di portare il Genoa prima in Serie A e poi di farlo posizionare più e più volte nella parte sinistra della classifica nella massima serie. Criticato troppo quando ebbe la sua più grande chance professionale in un’Inter scarna di idee e quanto mai svuotata, che lo portò all’esonero dopo appena 73 giorni dal suo insediamento in panchina. Fallimento che non ha smontato l’allenatore originario di Grugliasco, ma anzi lo ha rafforzato: poi, infatti, è arrivata la chance bergamasca, e un susseguirsi di emozioni che hanno portato in paradiso gli atalantini e che hanno lasciato di stucco tutti gli amanti del pallone. Chi ama il gioco del calcio non può non restare abbagliato dall’Atalanta.

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Un progetto, quello atalantino, solido, senza sbavature e che ha capo un presidente, Antonio Percassi, insolito per molti aspetti nel modo di fare rispetto alla maggior parte dei proprietari di società italiane. Sì, perché in Italia i patron delle squadre sono riconosciuti per dichiarazioni forti, insensate il più delle volte, per esonerare un tecnico dopo due partite disputate male. Tutto questo non configura, invece, Antonio Percassi, uomo di poche parole, mai al centro delle testate giornalistiche per dichiarazioni scoppiettanti, riconosciuto invece per progetti ambiziosi e vincenti e per idee. Molti dovrebbero prendere spunto da un uomo che ha portato la sua squadra da principessina nella Serie A a papabile regina, almeno per bellezza e purezza, d’Europa.

Questo tempo finirà, prima o poi. Ritorneranno i giorni in cui tutti noi parleremo delle imprese del Gasp e della Dea, perché certe storie d’amore non possono che concludersi con il lieto fine. Chissà se quella del sessantaduenne torinese e dell’Atalanta si concluderà con qualche coppa alzata al cielo. La Dea, che bendata in questo caso non è, deve essere d’esempio a tutti noi adesso: trionferemo contro questo rivale ostico che è il virus, ma soltanto con la calma, la temperanza e la buona programmazione.