Si può definire una persona “incosciente” se a 73 anni prende in mano la guida di una squadra, che ad inizio anno aveva come obiettivo la Champions League, ed ora si ritrova dodicesima? Non se la figura in questione si chiama Claudio Ranieri. Questo perché Claudio Ranieri alla Roma non può e non sa dire di no: il sentimento che prova verso i colori giallorossi supera ogni perplessità ed ogni ostacolo. E dopo 5 anni ecco che “ci risiamo”, il club capitolino è nuovamente in difficoltà e lui accorre in soccorso della sua Lupa. Neanche l’essersi ritirato dal rettangolo di gioco l’ha spinto a rifiutare la richiesta di aiuto dei Friedkin.
Questa volta, però, risollevare la Roma non è una missione semplice, anzi, è a dir poco impossibile. Ranieri dovrà: risanare uno spogliatoio svogliato e menefreghista, ricucire i rapporti tra società e tifosi, macinare punti per poter sperare di riavvicinarsi ad un piazzamento europeo e puntare ad andare in fondo ad Europa League e Coppa Italia. Tutto questo, però, dovrà farlo da solo. Perché attualmente l’organigramma societario della Roma è praticamente vuoto. A Trigoria l’unico dirigente rimasto è Florent Ghisolfi, di certo una bravissima persona ma che non può essere il rappresentante della comunicazione, soprattutto se dopo 5 mesi non sa ancora parlare italiano.
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Il caos Roma: dal 2019 alla finale di Budapest
Torniamo all’8 marzo del 2019. Claudio Ranieri viene ingaggiato per subentrare all’esonerato Eusebio Di Francesco (autore di un’annata quasi disastrosa) con l’obiettivo di condurre la Roma fino a fine stagione per poi far partire un nuovo ciclo. Il tecnico di Testaccio chiuderà il campionato al sesto posto e a 3 punti dalla qualificazione in Champions League. L’addio è doloroso, poiché avvenuto in concomitanza con il ritiro di Daniele De Rossi, ma era già stato preannunciato dallo stesso allenatore. L’apporto di Ranieri alla squadra si rivela immediato e con lui i giallorossi rinascono mentalmente. Per dare vita ad un nuovo ciclo, nella stagione 2019/2020 viene ingaggiato Paulo Fonseca, tecnico portoghese che aveva fatto molto bene con lo Shakhtar Donetsk. Cambia tutto il 6 agosto del 2020. James Pallotta, dopo 9 anni di presidenza assente, cede la Roma a Dan Friedkin.
L’entusiasmo è palpabile, l’americano, oltre ad avere un patrimonio stimato di circa 8 miliardi di euro, sembra interessarsi seriamente ai giallorossi. La prima mossa è semplicemente favolosa: fuori Fonseca, dentro José Mourinho. Gli effetti, in campo e a livello di marketing, sono evidenti: la tifoseria romana torna a popolare in massa lo stadio, il club esce dalla borsa, si inizia a parlare in modo concreto di stadio (a Roma probabilmente un’impresa impossibile) e soprattutto arriva un trofeo europeo: la Conference League. Sembra che possa andare tutto per il meglio, ma alla fine dell’annata 2022/2023 si rompe qualcosa. Dopo un Europa League disputata in modo magistrale, la Roma si ritrova ancora una volta a giocarsi una finale, a Budapest contro il Siviglia (la Regina assoluta della competizione). I giallorossi escono sconfitti ai calci di rigore, dopo una partita controversa a livello arbitrale, e nella testa dei giocatori scatta qualcosa. La spaccatura tra allenatore e presidenza inizia a farsi evidente da un episodio. Lo Special One, che in Ungheria ha perso la sua prima finale della carriera, si scaglia contro l’arbitraggio di Anthony Taylor colpevole di aver negato un rigore solare alla Roma e di non aver espulso due calciatori (Rakitic e l’ex Lamela). Nel tunnel della Puskas Arena, Mourinho si trova a combattere l’UEFA senza il supporto della società, che pensò a preservare i rapporti con la federazione europea.
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Esiste una Roma prima e dopo Budapest
Per spiegare la situazione attuale della Roma, si sente spesso ripetere la frase “Esiste una Roma prima e dopo Budapest”. E questo è oggettivamente vero. La vittoria in finale avrebbe significato qualificazione in Champions League, nonostante il sesto posto in Serie A, introiti maggiori e appeal del club aumentato. Invece, la Roma che invece esce sconfitta dal prato della Puskas Arena è una squadra svuotata, distrutta mentalmente e arrabbiata. José Mourinho con il secondo trofeo in due anni avrebbe sicuramente lasciato da eroe la Capitale, ma non è andata così. L’ex Inter decide di restare per riscattare l’insuccesso dell’anno precedente, ma di fatto i suoi ragazzi con la testa non c’erano più. Con ancora le ferite, mai rimarginate, di quel maledetto 31 maggio la Roma non si riprende più e i risultati, in campionato e in coppa, sono pessimi. Il 16 gennaio del 2024 a seguito della sconfitta per 3-1 contro il Milan, José Mourinho viene esonerato tra lo sgomento e la rabbia dei tifosi.
Per calmare le acque, i Friedkin assumono Daniele De Rossi, leggenda del club. La decisione viene accolta con entusiasmo, ma sempre con la consapevolezza che fosse stato scelto più per ciò che rappresenta che come valido allenatore. Ma DDR, invece, si dimostra un tecnico più bravo di quanto si pensasse e la Roma torna nuovamente in corsa per il quarto posto e raggiunge la semifinale di Europa League dopo aver battuto Feyenoord, Brighton e Milan. L’ultimo ostacolo prima di potersi prendere la rivincita, questa volta a Dublino, è il Bayer Leverkusen di Xabi Alonso. I tedeschi sono una squadra straordinaria e arrivano alla gara da imbattuti (ben 51 partite senza perdere) e l’andata all’Olimpico finisce 0-2 per le aspirine. Ma i giallorossi non si danno per vinti e alla BayArena grazie alla doppietta di Paredes rimettono in piedi il discorso qualificazione. Una Roma non brillantissima fisicamente, però, nel finale scoppia definitivamente e si fa riprendere: 2-2 e tedeschi in finale.
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Tre mesi di follia e disorganizzazione pura: come calpestare la storia della Roma
Grazie alle buone cose fatte vedere, a giugno 2024 viene ufficializzato il rinnovo di Daniele De Rossi. Il contratto è importantissimo: triennale a circa 3 milioni di euro a stagione. Il segnale è quello di voler aprire un ciclo con l’ex centrocampista e altre conferme arrivano dal mercato: 120 milioni di euro spesi per rinforzare una squadra fatta a forma e somiglianza del 4-2-3-1/4-3-3 che DDR vuole adottare. Ma i problemi a Roma non finiscono mai. Il costante ritardo del mercato, unito all’arrivo tardivo del nuovo direttore sportivo, non rende completa la squadra per l’inizio del campionato. A complicare ulteriormente le cose è il caso Paulo Dybala. La sessione di calciomercato viene totalmente bloccata dalla possibile cessione dell’argentino in Arabia Saudita. Dopo vari giorni di trattative l’accordo tra i club non si trova e la Joya rimane nella Capitale.
Alla gara di esordio del 18 agosto contro il Cagliari, la Roma si presenta senza Dybala, un terzino destro titolare e il centrocampista box to box chiesto incessantemente da De Rossi, così anche per il match successivo contro l’Empoli. Alla chiusura del mercato la rosa giallorossa ha comunque carenza di difensori centrali, anche per colpa della telenovela legata a Kevin Danso. Il 4 settembre, con gli arrivi di Hummels e Hermoso, De Rossi ha finalmente la squadra al completo e può iniziare a lavorare seriamente dopo un inizio difficile di campionato (2 punti dopo 3 giornate). Il primo match “reale” la Roma lo disputa in trasferta contro il Genoa. La sua squadra gioca bene e passa in vantaggio, ma, tra disattenzioni difensive, e anche qua lo zampino del VAR, il gol di De Winter al 96esimo nega la vittoria ai giallorossi. La partenza è pessima ma la squadra aveva dato dei segni di miglioramento, si poteva lavorare bene. I Friedkin, lontani dalla Capitale, avevano completamente affidato la gestione del club al CEO Lina Souloukou che non aveva mai visto di buon occhio la conferma di De Rossi. La greca, di sua spontanea volontà decide di esonerare DDR tra lo shock generale di giocatori e tifosi. La romanità in persona era stata fatta fuori da casa sua per volere di una dirigente con manie di protagonismo e di controllo. I problemi non sono finiti, ma appena iniziati.
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L’arrivo di Juric per “Puntare ai trofei”
L’esonero di De Rossi scatena una serie di proteste violente che trascina nell’occhio del ciclone presidenza, giocatori e dirigenza. Il nome del sostituto non tarda ad arrivare e il profilo scelto è quello di Ivan Juric, consigliato da Giuseppe Riso (procuratore dei giallorossi Gianluca Mancini, Bryan Cristante e Tommaso Baldanzi) che ha un ottimo rapporto con Lina Souloukou. Il croato non è accolto benissimo dalla tifoseria e la situazione peggiora con il comunicato del club: “Nutriamo un profondo rispetto per Daniele, separarsi da lui è stata una decisione difficilissima, ma l’abbiamo presa con la convinzione che sia la strada giusta per puntare ai trofei in questa stagione”. Con tutto il rispetto per l’ex Torino, come può portare dei trofei alla Roma se nella sua carriera non è mai riuscito a giocarsi qualcosa di importante? Non delle frasi scelte con molta cura da parte del presidente.
Di sicuro le colpe di Juric sono minime, poiché si è ritrovato in una situazione in cui poteva far ben poco (a maggior ragione se i suoi stessi calciatori lo credono un “supplente” pronto ad andarsene a fine stagione). Nonostante il cambio in panchina, il trend negativo non cambia e la Roma passa in un attimo a lottare per la salvezza. Juric in 53 giorni ha peggiorato le cose: 12 partite, 4 vittorie, 3 pareggi e 5 sconfitte, 12 gol segnati e 17 subiti con una media per partita di 1,25 punti (peggior allenatore della Roma degli ultimi 20 anni per media punti). La squadra lo avrà sicuramente rigettato, ma le sue colpe le ha: dichiarazioni pre e post partita folli (era sempre tutto positivo nella prestazione dei suoi), una gestione di Mats Hummels a dir poco imbarazzante (23′ minuti giocati in 12 partite) e tanta, troppa ottusità nello schierare certi giocatori non all’altezza di gestire il momento delicato: Zalewski, Celik, Pellegrini, Mancini e Cristante (il dubbio che ci fosse lo zampino di Riso dietro alla sua titolarità fissa è venuto a tutti).
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Ora tocca a Ranieri: “Una bella gatta da pelare, per questo mi hanno chiamato”
Il 10 novembre anche Ivan Juric viene esonerato facendo salire a quota 4 il numero di allenatori nell’anno solare. Questa volta i Friedkin si prendono un po’ più di tempo per scegliere il sostituto e probabilmente la ricerca di un post Juric era già iniziata dopo l’umiliazione del 5-1 subito contro la Fiorentina. La volontà della dirigenza è di prendere un tecnico di alto livello ma in una situazione del genere nessuno sarebbe disposto a venire. E, dopo aver incassato i “no” di vari tecnici, su consiglio di Florent Ghisolfi la Roma vira su Claudio Ranieri.
Ora Sir Claudio si troverà davanti all’impresa più difficile della sua carriera, ancor più della salvezza raggiunta con il Cagliari o dello scudetto con il Leicester, ma lui lo sa già e ha provato da subito a smorzare la pressione: “Una bella gatta da pelare? Per questo mi hanno chiamato… Pronti, arrivano i nostri”. La sfida il settantatreenne l’affronterà, come al solito, con la massima serietà e con la sua romanità che esce fuori quando si trova a Roma: “Sì, sono cambiato, a Roma faccio il Romano” (iconica frase datata 7 novembre 2010). La speranza è che realmente possa risollevare una stagione iniziata male e continuata peggio. Possibilmente questa volta senza arrivare a dover umiliare e infangare l’ennesima bandiera tornata a Roma per togliere ancora dal baratro chi non se lo merita. In bocca al lupo Sir Claudio Ranieri, con il desiderio di “far godere ancora una volta come ricci” i tifosi giallorossi.