La Sampdoria di Paolo Mantovani

Non si può descrivere una squadra di calcio particolare come la Sampdoria di Mancini, Vialli, Cerezo e Vierchowod (tanto per fare dei nomi) esclusivamente per le sue gesta. Alla base di tutto c’è una filosofia non tanto di gioco ma di vita, di intendere il verbo “vincere” in un modo tutto suo.

L’artefice di tutto

Provate a fare il nome di Paolo Mantovani a qualche tifoso sampdoriano che abbia superato i 40 anni di età e noterete la commozione nei suoi occhi. Quello che quell’uomo ha fatto non si può sminuire elencando solo le Coppe Italia, lo Scudetto e la Coppa delle Coppe vinte. Il fatto perché ancora oggi a 26 anni dalla sua scomparsa, sia riuscito a farsi letteralmente amare da una tifoseria e rispettare dalle altre, sta nell’etica che ha portato nel mondo del calcio.


Mai vincere a tutti i costi, ma vincere rispettando regole ed avversari e farlo nel modo più onesto ed elegante possibile. Con questa sua filosofia era riuscito a contornarsi di persone di altissimo valore morale, carismatiche ed a lui fedeli. È stato Paolo Mantovani a scegliere Paolo Borea come direttore sportivo e sempre lui ha scelto Vujadin Boskov come allenatore.

Un serbo al timone

I più maligni sostenevano che una squadra come quella si sarebbe allenata da sola e che i veri tattici erano Roberto Mancini (attuale CT della nazionale italiana) e Gianluca Vialli. Niente di più falso. Mettere in campo campioni ricchi di talento e di personalità senza creare invidie né rivalità, non è mai cosa facile. Vujadin Boskov era un romantico del calcio, un abilissimo stratega e psicologo.


È stato anche l’ultimo allenatore a vincere in Italia uno scudetto giocando con la difesa schierata a uomo. Quale attaccante avrebbe mai gradito avere Pietro Vierchowod attaccato agli stinchi per 90 minuti? Quello gli ringhiava addosso anche negli spogliatoi… È stato il buon Vujadin a far crescere come calciatori e come uomini quella banda di ragazzi terribili, nel modo che voleva Paolo Mantovani.

Chi semina raccoglie?

Molti si sono chiesti se quella squadra abbia raccolto sotto forma di successi, quanto avrebbe meritato ed il dubbio persiste ancora oggi. Il modo di interpretare il calcio di Paolo Mantovani ha sempre dato un po’ di fastidio al cosiddetto “Palazzo” e fino a che la Samp era una corazzata invincibile, poco poteva fare.

Quello che invece ha fatto e soprattutto mal-fatto è stato negli anni successivi alla scomparsa del Padre di tutti i blucerchiati, specialmente negli anni immediatamente a seguire.

L’etica

L’etica per Paolo Mantovani veniva prima di tutto. Tutta la tifoseria organizzata blucerchiata ricorda la sua posizione sui fumogeni e sulle pur festose invasioni di campo. Bastava solamente una sua parola e tutti capivano e si adeguavano, capendo il perché della tirata d’orecchie.


Un presidente che riesce ad educare non una tifoseria ma intere generazioni di tifosi diventa obbligatoriamente un padre per tutti loro. E così è stato. I contratti con i giocatori venivano stipulati su un tovagliolo e firmati con una stretta di mano, nessun procuratore, solo un patto tra uomini.


C’è stato un giocatore simbolo di quella Sampdoria che adesso sbarca il lunario come opinionista o commentatore televisivo che ebbe la malsana idea di mandare il suo agente a trattare. Il risultato visibile fu l’immediata cessione del giocatore ad una squadra del nord Italia ed un eterno livore di questi verso la Sampdoria.

Una squadra unica

In porta Pagliuca, Mannini e Katanec come terzini, Pellegrini come libero e capitano, lo stopper era Vierchowod, Pari come mediano di spinta, Lombardo come tornante a destra, due tra Toninho Cerezo, Mychajlyčenko e Beppe Dossena a centrocampo e Mancini e Vialli gli indiscussi gemelli del goal.
Senza dimenticare il prezioso apporto di Lanna, Ivano Bonetti, Branca ed Invernizzi.


Lo scudetto vinto, i capelli ossigenati per festeggiare, Cerezo che vergognandosi se li ricolorò di nero prima della visita al Papa, la finale di Wembley e la fine di un ciclo glorioso. Sono centinaia gli aneddoti su una squadra che prima di vincere riuscì a farsi amare e rispettare.